sciusceddu

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sciusceddu (1 of 1)Tanto per cambiare, il solito dilemma coi nomi. La mia amica Caterina mi ha riferito che la forma dialettale sciusceddu deriva da sciusciare (soffiare), dal francese souffler (per gentile concessione dei Normanni) che deriva a sua volta dal latino subflare.

Non è l’unica a pensarla così ma Giuseppe Coria, autore dell’iconico Profumi di Sicilia, la bibbia della gastronomia siciliana, ci suggerisce che “esistono diversi modi di chiamare questa pietanza, la cui esatta denominazione sarebbe ciuceddu. Deriva infatti dal latino juscellum, col preciso significato di brodetto, minestra liquida. È inesatto far derivare la parola dal dialettale siciliano sciusciare (soffiare) per quanto essa sia onomatopeica…”

Inoltre, pronunciarlo correttamente è dannatamente difficile. Così tanto che rinuncio persino a spiegarvelo. La mia amica Maria Grazia mi ha dato una lezione di dieci minuti su come pronunciare l’iniziale “sc”, invano. Visto che ha premesso che solo chi è nato in Sicilia ha qualche speranza di successo, la sua impresa (e la mia) era chiaramente impossibile fin dall’inizio, ma è sempre un diletto vedere qualcuno che tenta l’irrealizzabile.

Mi viene in mente di quella volta che una ragazza ceca, conosciuta qualche tempo fa, provò a insegnarmi la pronuncia esatta della “ř” in Dvořák. Avevo finito per chiedermi se i movimenti dei denti e della lingua necessari fossero possibili senza l’aiuto di una mezza pinta di slivovitz, o se mezza pinta di slivovitz è quello che si desidera ardentemente dopo mezz’ora trascorsa sbavando, facendo smorfie ridicole e producendo strani versi, garantendo il divertimento alla ragazza ceca in questione. Ad ogni modo, ad un certo punto, arrivai alla conclusione che, prima o dopo, lo slivovitz era necessario.

Lo so che vi starete chiedendo: ma che ci importa come si chiama e come si pronuncia? Qualcuno ti ha chiesto delle tue avventure passate con le ragazze ceche? È chiedere troppo sapere di cosa si tratta e se potrebbe piacerci? Bene, vado dritto al punto: sono delle polpettine in brodo con sopra un manto di soufflé di ricotta, roba da leccarsi i baffi. Almeno per me è così, ma guarda un po’, le opinioni sono divergenti. Sembra essere universalmente riconosciuto si tratti di un piatto tradizionale messinese di Pasqua, le cui origini risalgono a un paio di secoli fa, ma l’unanimità non va oltre. Sull’elenco esatto degli ingredienti e sul fatto che alla fine dovrebbe essere messo in forno, non si riscontrano veri e propri consensi.

A essere sinceri, non sono tutti d’accordo neanche sul fatto che sia commestibile o meno. È una pietanza che divide l’opinione pubblica quasi come il pescestocco. O lo ami o lo odi. Per quanto riguarda me, devo ancora scoprire qualcosa che contenga ricotta per cui non vada matto, quindi non faccio testo. Una versione (molti direbbero l’originale, ma francamente me ne infischio) non prevede la doratura finale in forno, quella che considero il tocco in grado di rendere davvero sublime il piatto.

In realtà, ho anche il sospetto che chi non ama questo piatto abbia assaggiato solo la versione ‘originale’. Siamo onesti, a confronto con delle uova strapazzate mezze cotte in brodo, anche un omogeneizzato sarebbe accattivante. Ma, volete mettere, una crosta dorata in cima a una fondente, soffice ed eterea crema di ricotta? Non ho altro da aggiungere.

Ingredienti per 4 persone:

  • 250g tritato di vitello (sebbene Giuseppe Coria suggerisca di maiale)
  • 400g di ricotta
  • 700 ml di brodo (preferibilmente di pollo)
  • 5 uova
  • un mazzetto di prezzemolo, tritato
  • 3 cucchiai di pecorino grattugiato (o di parmigiano se preferite un sapore meno deciso)
  • 2-3 cucchiai di pangrattato
  • sale, pepe
  1. Amalgamate il tritato con un uovo, assieme a un cucchiaio del formaggio grattugiato, un po’ di prezzemolo, sale, pepe e pangrattato quanto basta per ottenere un composto omogeneo (circa due-tre cucchiai). Formate delle polpettine, grandi quanto una grossa ciliegia.
  2. Riscaldate il forno a 190° C.
  3. Cuocete le polpettine nel brodo già bollente. Sono sufficienti 5-10 minuti.
  4. Nel frattempo, separate i tuorli dagli albumi delle restanti uova e mettete gli albumi da parte.
  5. Mescolate i tuorli con la ricotta, il formaggio rimasto, altro prezzemolo e un pizzico di sale e pepe.
  6. Montate a neve ferma gli albumi e incorporateli delicatamente al composto di ricotta.
  7. Trasferite le polpettine con un po’ di brodo in quattro cocotte di coccio e distribuite sopra il composto, ricoprendo tutta la superficie.
  8. Passate le cocotte in forno per dieci minuti, fino a doratura, e quindi servite subito.

(traduzione di Maria Rizzo)

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