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Talvolta riesco a vincere contro la mia famiglia. Voglio dire, ogni tanto potrà pure accadere, no? Come ha scritto il grande E. E. Cummings, “nessuno perde sempre”. Certo, loro vincono facile: ho una moglie avvocato, una figlia adolescente che potrebbe insegnare qualche trucchetto persino a Lucrezia Borgia, e un figlio il cui ghigno malefico farebbe invidia anche agli spietati assassini delle sanguinose tragedie rinascimentali.
Peraltro non c’è nessun argomento, quanto l’andare a cena fuori, su cui ho meno voce in capitolo. Questo potrebbe stupirvi, visto che per quel che concerne la gastronomia, è fuori discussione che sia io l’artista. Ma in realtà il problema è proprio questo. La mia famiglia è talmente d’accordo in proposito che insiste sempre per rimanere in casa, spedendomi in cucina a esprimere la mia arte culinaria per loro. La mia prole ha anche vari altri motivi per non uscire. Nel caso di mia figlia, una malattia incurabile ai pollici: se smette di toccare il display del suo smartphone per più di dieci secondi, a quanto pare rischia la morte istantanea. Per quanto riguarda Machiavelli Junior, cercare di farlo muovere significherebbe più che altro cercare di ri-muovere chirurgicamente la poltrona, che con ogni evidenza è fusa alla sua schiena come una sorta di cilicio di lusso, e poi dividerlo dai comandi della sua PS3 richiederebbe un’amputazione.
Ma sì, nonostante questo, ogni tanto riesco a spuntarla, anche se con un piccolo aiuto esterno, tipo i parenti in visita dall’Inghilterra – “sai quanto amano i ristoranti qui, cara “. E così è stato che, Forze Alleate al seguito, sono riuscito a trascinare moglie e figli al ristorante “Sapore Divino” a Ganzirri.
Come avrete capito, non riesco a venire qui spesso, infatti rimango piacevolmente sorpreso tutte le volte che il titolare, Mario Valveri, mi riconosce. Di solito lo chiamo il giorno prima, per prenotare il tavolo e soprattutto la zuppa di pesce, che è uno dei miei piatti preferiti ma purtroppo raro sui menu qua in Sicilia. È per questo che va ordinato 24 ore prima, in stile Convenzione di Ginevra, in modo tale che il ristoratore abbia il tempo di procurarsi il pesce adeguato alla preparazione del brodo, fondamento essenziale della ricetta.
Ad ogni modo, alcuni di noi hanno optato per la zuppa di pesce, mentre gli altri hanno ordinato il pesce spada, l’orata e quella piccola carnivora senza speranze di mia figlia non poteva che scegliere lo stinco di maiale. C’erano anche un paio di antipasti – degli assaggi di pesce per due, prosciutto crudo, cocktail di gamberi – e un primo – mezze maniche con pesce spada, melanzane e pistacchi. Avvolto dalla solita atmosfera rinascimentale, mio figlio ha preferito le penne al ragù di cinghiale.
Ero sul punto di scegliere il vino quando Mario si è rimaterializzato per condividere con noi delle informazioni privilegiate in materia di cantine e relativi prodotti, rivelandomi che uno dei miei bianchi siciliani preferiti, il Grillo di Tasca d’Almerita, che vi avevo menzionato in qualche post precedente, sta rischiando l’estinzione. A quanto pare i conigli hanno distrutto il vigneto, quindi non sappiamo se e quando tornerà a essere in produzione. “Però – mi ha detto – mi piacerebbe farti assaporare quella che potrebbe essere una delle ultime bottiglie di sempre!”. “Non me lo lascio dire due volte!”. E mi viene in mente che prossimamente potrei postare una ricetta per il coniglio alla stimpirata.
Tornando al menù, l’antipasto era come al solito superlativo, giocando sulla freschezza impareggiabile del pesce. Parlo di cozze impanate e frittelle di gamberi con harissa piccante, e poi carpaccio misto, con polipo, salmone, pesce spada e gamberi. Il pesce è stato lasciato praticamente come madre natura vuole, a parlare da sé, che è il modo in cui dovrebbe essere servito quando è così fresco: nudo e crudo, come dicono gli italiani.
Le mezze maniche con pesce spada, melanzane e pistacchio erano una combinazione superba. Se non sbaglio c’era anche del pomodoro. Credetemi, con quella salsa cremosa e riccamente aromatizzata, non si poteva rinunciare alla scarpetta.
Poi, finalmente, è arrivata la zuppa di pesce. Sapore schietto, con il pesce cucinato solo per il tempo necessario a garantire che ogni varietà si tenesse stretto il proprio specifico sapore. L’unico inconveniente: i crostini. Erano piccoli e non avevano quel fascino rustico e robusto che la zuppa di pesce richiede. Avrei invece avuto veramente bisogno di due o più fette di pane casereccio, abbrustolito e cosparso di un buon olio d’oliva, da affogare nel brodo aromatico a prendere tutto il pesce sminuzzatosi sul fondo del piatto. Non fraintendetemi, la zuppa era eccellente ma con i crostini giusti avrebbe praticamente raggiunto la perfezione.
Tutti hanno ordinato dei dolci che sembravano andare giù bene (anche se non ricordo quali fossero, a eccezione della puntuale e prevedibile scelta di MJ, ovvero parfait di mandorle con salsa al cioccolato). Insieme ai caffè e un paio di grappe, in sei abbiamo pagato, con un po’ di sconto, la ragionevole cifra di € 200.
Quando siamo usciti dal ristorante, imbruniva e ci sentivamo sazi e pienamente soddisfatti come capita solo dopo un’ottima mangiata di pesce. Siamo, dunque, andati a fare una passeggiata sulla spiaggia, noi per rinfrescarci e MJ a cercare bastoni appuntiti da aggiungere alla sua collezione, facendomi fantasticare su quello che mi piacerebbe fare a quei conigli …
Ah, a proposito, se avete voglia di dare un’occhiata al menù e alcune foto del ristorante, eccovi il sito, ma nonostante la bandiera inglese nell’angolo, sembra essere disponibile solo in italiano. Mario, se mi stai leggendo, posso metterti in contatto con un bravo traduttore…